Dove sei?

Dove sei? Chiede Dio ad Adamo. Dov’è tuo fratello? Chiede Dio a Caino. Dove stai andando? Chiede Esaù a Giacobbe.
La Bibbia è piena di “dove sei?”.
E questo “dove” in ebraico può significare anche “perché”. Perché sei?
Dove sei? Sono tanti anni ormai che vivi. Dove ti trovi?
Spesso la vita che conduciamo non ci aiuta a fermarci e a riflettere se la nostra vita ha il pieno significato che possiamo darle.
Dio crea in sette giorni e in questo modo crea il tempo, ma poi crea anche una modalità precisa di rapportarsi con il tempo.
Più precisamente Dio crea in sei giorni più uno, perché nel settimo giorno pone un limite al suo potere. E al nostro se rispettiamo il riposo settimanale.
Noi tutti oggi viviamo con un orologio al polso o sul cellulare, o una sveglia o l’orologio sul cruscotto dell’auto. Avere un orologio al polso è indubbiamente una grande comodità, ma ci espone anche a una tentazione molto insidiosa: pensare di essere noi a dominare il tempo. Ci illudiamo che sia in nostro dominio.
E paradossalmente, mai come oggi le persone sembrano sempre più schiave del tempo. Viviamo il tempo accelerato e viviamo in anni in cui la depressione è una delle malattie più diffuse.
Non è sempre stato così. Il tempo non veniva soltanto misurato ma veniva annunciato.
Pensiamo ad esempio al suono delle campane. Non hanno solo un significato pratico, ma molto più profondo e simbolico: annunciano il tempo. E il tempo va annunciato perché non è un nostro possesso. L’orologio al polso ci illude di possederlo, le campane al contrario ci ricordano che il tempo è dono prima che possesso.
Nella Bibbia si ha un diverso modo di rapportarsi con il tempo, con la storia, con la propria vita. Addirittura capovolto rispetto a noi attuali occidentali. Nell’ebraico biblico si usa uno stesso termine – ahar – per indicare ‘dietro’ e essere noi a dominare il tempo. Ci illudiamo che sia in nostro dominio.
E paradossalmente, mai come oggi le persone sembrano sempre più schiave del tempo. Viviamo il tempo accelerato e viviamo in anni in cui la depressione è una delle malattie più diffuse.
Non è sempre stato così. Il tempo non veniva soltanto misurato ma veniva annunciato.
Pensiamo ad esempio al suono delle campane. Non hanno solo un significato pratico, ma molto più profondo e simbolico: annunciano il tempo. E il tempo va annunciato perché non è un nostro possesso. L’orologio al polso ci illude di possederlo, le campane al contrario ci ricordano che il tempo è dono prima che possesso.
Nella Bibbia si ha un diverso modo di rapportarsi con il tempo, con la storia, con la propria vita. Addirittura capovolto rispetto a noi attuali occidentali. Nell’ebraico biblico si usa uno stesso termine – ahar – per indicare ‘dietro’ e ‘dopo’. Per noi è impensabile, perché il ‘dopo’ lo immaginiamo sempre come qualcosa che ci sta ‘davanti’, non ‘dietro’, alle spalle. Invece l’uomo biblico il ‘dopo’ lo immagina così: non davanti, ma dietro di sé. Noi siamo rivolti a occidente e guardiamo al futuro come un tempo che ci sta davanti, da progettare, costruire, dominare. L’uomo biblico abita invece la terra ‘orientato’, rivolto cioè a oriente, verso l’origine, verso il sorgere del sole e non verso il suo tramonto, a occidente; di conseguenza il ‘dopo’ lo immagina non davanti ma ‘dietro’, alle spalle, come un mistero che si rivela o una promessa che si offre, che non può essere dominata, ma va accolta, con la stessa sorpresa con cui si accoglie ogni giorno un’alba che torna a sorgere gratuitamente sulla tua vita, con il suo carico di novità e di promessa senza che tu debba o possa fare qualcosa per essa.
Ritrovare il proprio orientamento significa comprendere che la vita non è solo progetto, ma è frutto di una promessa.
Il pro-getto è ciò che tu prendi e getti davanti ai tuoi passi guardando a occidente; la promessa al contrario è ciò che un altro ti mette-pro, davanti ai tuoi passi, e che puoi riconoscere solo volgendoti a oriente, il luogo di Dio, non verso ciò che devi fare, ma verso ciò che devi attendere e puoi sperare.
Tutto questo non significa che dobbiamo rinunciare a ‘progettare’ un mondo e una storia diversi, ma che siamo chiamati a confidare in una promessa, custodendo una speranza. Come la sentinella che veglia nella notte e attende l’aurora. Da oriente.
(a partire da una riflessione di Fr. Luca di Dumenza– Varese)