Identità e tradizione

Il nostro è un tempo in cui una parte della popolazione vive un ritorno verso le tradizioni e le identità forti, sia di natura religiosa che politica (vedi il ritorno di nazionalismi e sovranismi che si pensavano dimenticati dalla storia); ciò si contrappone a una parte, soprattutto giovane, che abbraccia identità liquide, andando oltre le divisioni di generi, di appartenenze religiose e abbattendo barriere.
Nella nostra Chiesa a volte è stato affermato da alcuni che siamo una Chiesa che in realtà non esiste perché pochissimi dei nostri preti o fedeli vengono dalla tradizione cattolica cristiana, da famiglie christkatholisch essendo “convertiti”, prevalentemente dal cattolicesimo romano.
C’è forse il rischio che l’identità della nostra Chiesa cambi? Chi si converte è meno cattolico cristiano?
Non siamo gli unici che si pongono questi problemi, ad esempio questo è un tema comune a tutte le confessioni cristiane o ebraiche riformate e progressiste. Tento di rispondere con un discorso ampio grazie alle parole della rabbina francese Delphine Horvilleur espresse in un’intervista che ha rilasciato (“Uomini e profeti” Rai Radio 3).
“Negli ultimi anni sembra esserci un’ossessione sul tema identitario, sia dal punto di vista politico che religioso. C’è un ripiegamento e chiusura delle comunità intorno a questo tema e c’è qualcosa di preoccupante nella parola stessa identità perché questa parola suggerisce che c’è qualcosa in noi che rimane identico e che per essere fedeli all’identità bisognerebbe riprodurre sempre identico il mondo della propria nascita, dei propri genitori, dei propri nonni… e questo, solo questo farebbe di noi dei veri, autentici eredi. Io invece all’opposto credo proprio che una vera identità sia qualcosa di sempre mobile, sempre in movimento. Ho anche notato che nel mondo politico e religioso si parla di identità in maniera erronea: viene espresso il desiderio di tornare ai tempi antichi come se nel passato fosse stato tutto bello e buono. Il tempo in cui l’identità era chiara, era netta. Tutto questo non è vero, è una finzione. Noi siamo come siamo proprio perché qualcosa è cambiato, perché c’è stato un progresso ed è questa la nostra grande fortuna, il cambiamento, il fatto che non siamo più come eravamo.
Tutti i racconti sacri, i personaggi importanti biblici parlano di sradicamento e di partenza. Pensiamo ad Abramo: il padre delle tre religioni monoteiste. Abramo è un uomo nato in un luogo ed è costretto a lasciare questo luogo, a lasciare la casa del padre per andarsene a vivere altrove. Il racconto di una separazione necessaria per mettersi in viaggio è ripetuto continuamente nella Bibbia. Pensiamo agli ebrei, popolo nato in Egitto, che sono costretti a lasciare l’Egitto, che nei testi è raccontato e descritto come una matrice, una presenza materna che si deve assolutamente lasciare, abbandonare senza possibilità di ritorno per potersi liberare e andare verso un altro luogo, andare altrove. Nella tradizione biblica ci viene domandato continuamente di metterci in viaggio, è questa la condizione per la nostra liberazione. Quando si mettono le mani sul capo di un altro per benedirlo significa inserire quella persona in una catena di benedizioni che arrivano dal passato (ndr: in ogni benedizione e ancor più durante le ordinazioni). Con ciò non si intende caricare quel capo di un peso che dica ‘stai qui, non ti muovere da qui sotto il peso di una tradizione’ ma significa piuttosto: ‘sappi che ora sei abbastanza zavorrato, ora ti è dato un peso importante che arriva dalla tradizione del passato che ti è necessario per poterti mettere in viaggio. Sei solido, insomma, vai’.

Bisogna saper appartenere, imparare un linguaggio che ci è trasmesso però poi farci qualcosa, portare frutto.
Prendiamo Giacobbe ed Esaù: Esaù nasce già fatto, già peloso, già adulto, senza possibilità di sviluppo ma le Scritture non seguono lui, seguono la storia di suo fratello, Giacobbe che diventerà un altro, un’altra persona: Israele. E lui passerà la vita tra il Giacobbe che era stato e l’Israele che aspira a diventare, cioè in cammino verso un’altra identità. E un dettaglio fisico che identifica Giacobbe è che una volta divenuto Israele, è un uomo zoppo, cioè un uomo incapace di stare in piedi immobile ma che per essere in equilibrio, per trovare un equilibrio deve oscillare sempre da un lato all’altro, deve stare sempre in movimento e qui c’è tutta la differenza tra il personaggio di Esaù, che è già arrivato, immobile nella sua identità e il personaggio di Giacobbe/Israele, sempre in cammino, in movimento verso se stesso e verso l’altrove.”
I nuovi arrivi, rispettosi e desiderosi di inserirsi in questa tradizione, ma portatori di altre esperienze, impediscono alla nostra Chiesa di vivere come Esaù, di essere già arrivati e di bastarsi.
Come per la biologia, le contaminazioni sono la vita anche nelle religioni. La Pasqua ebraica si festeggia sul modello del simposio romano, la festa di Purim è contaminata dalla Persia, le feste cristiane si basano su quelle ebraiche e pagane, i primi cattolici cristiani non erano christkatholisch ma cattolici liberali nati in famiglie cattoliche romane, come tanti cattolici liberali continuano a nascere in Svizzera e negli altri Paesi da famiglie cattoliche romane.
L’identità dovrebbe essere dinamica e addirittura indefinibile… cosa fa di noi un christkatholisch? La famiglia? Il linguaggio? La sensibilità a una storia, una cultura? Nessuna di queste definizioni dice tutto dell’identità. Essere cattolici cristiani significa vivere un’alternativa cattolica come Chiesa, significa che per noi è vitale il camminare insieme e decidere insieme, vivere la distinzione clero e popolo come servizio e non come status, significa che vivere la fede insieme è una possibilità e una ricchezza e non un obbligo o un peso, significa che è fondamentale per noi l’ascolto e il dialogo tra noi e con la società, è vivere incarnati e spirituali contemporaneamente, non aspirare a una supposta perfezione ma accogliere sempre tutti.
La Chiesa antica a cui noi guardiamo per ispirarci, ha scelto lei per prima di aprirsi ai non ebrei, a non vincolare l’appartenenza a una discendenza. Speriamo che si sciolga questo nodo nel cuore di alcuni permettendo allo Spirito di soffiare dove e come vuole.