La morte, relegata lontano dalla nostra quotidianità, tenuta a debita distanza dalle nostre vite, medicalizzata, vive oggi una situazione paradossale, quando le immagini e le parole dei cari defunti tornano e irrompono all’improvviso con l’uso dei social network e, in generale, del web. Moriamo, ma continuiamo a esistere nella presenza ineliminabile della nostra passata vita online. Il web è, ad oggi, il più grande cimitero del mondo. Molti sono tenuti artificialmente in vita dai vivi. Così si ha la sensazione che i morti continuino a essere tra noi.

Su Facebook sono già oggi presenti più di venti milioni di defunti
Sono già disponibili programmi con cui dialogare, capaci di interpretare i nostri stati d’animo per poi sostituirsi a noi quando saremo defunti e continuare a parlare con i nostri cari; il profilo Facebook diventerà una vera e propria lapide virtuale e i nostri amici potranno continuare a farci gli auguri ogni anno nell’aldilà.
E ancora, il web è diventata la più grande piazza pubblica per celebrare il ricordo o
condividere anche l’esperienza privata del lutto. Insieme piangiamo i nostri cari, insieme ricordiamo i nostri beniamini. Insieme, in un futuro prossimo, vivremo una seconda vita nella realtà virtuale.
In Occidente viviamo infatti ancora all’interno di un contesto sociale e culturale che rifiuta tassativamente il pensiero della mortalità e tiene a debita distanza il corpo dei defunti. Parlare di morte, durante un pranzo tra amici o in una trasmissione televisiva, è considerato tutt’oggi inopportuno, macabro e di cattivo gusto. Poi però la morte è presente dappertutto nell’ambiente digitale: nei social network, tra i selfie su Instagram, nei video amatoriali in diretta, nelle immagini sui quotidiani in Rete, in molteplici siti internet e blog. Un esempio è quello delle “cancer vlogger”, ragazze che pubblicano quotidianamente video su YouTube o Facebook in cui parlano della loro malattia mortale a milioni di spettatori. Molti studiosi sostengono che questo fenomeno sia utile per ripensare il rapporto tra salute e malattia, vita e morte.
Questa sua onnipresenza online, però a confronto con la rimozione offline, crea una schizofrenia tra negazione e spettacolarizzazione mediatica che banalizza la morte.
Nasciamo su Facebook, cresciamo su Facebook, ci sposiamo e divorziamo su Facebook. Il tutto testimoniato quotidianamente con messaggi, fotografie e video. Non c’è, pertanto, niente di strano nel morire anche su Facebook.
La morte è una parte della vita e la vita è divenuta digitale. Stiamo imparando a vivere contemporaneamente in due abitazioni: l’abitazione tradizionale, in cui ogni sera rientriamo fisicamente lasciandoci alle spalle la tortuosa giornata lavorativa, e l’abitazione virtuale, sempre presente ed eterna, che raccoglie i dati e gli oggetti digitali da noi prodotti e diffusi online nel corso degli ultimi decenni.
I filosofi ci definiscono esseri onlife, come a dire che non possiamo più distinguere tra il nostro mondo online, quello collegato in internet e quello offline, quello scollegato.
Tale consapevolezza assume un valore ancora più marcato tenendo conto che, in pochi anni, la Generazione X – quella di coloro che sono nati approssimativamente tra il 1965 e il 1980 – sarà l’ultima generazione ad aver vissuto un periodo storico senza la connessione al web. Il futuro prossimo comprenderà esclusivamente nativi digitali, abituati a dover gestire fin dai primi anni di vita entrambe le abitazioni sempre più integrate tra loro.
Attualmente è di moda in tutto il mondo il cosiddetto Döstädning, termine svedese con cui si traduce il concetto della «pulizia della morte» vale a dire l’organizzazione ragionata – insieme alle persone amate – di lettere, fotografie, vestiti, monili, ecc. che resteranno, nonostante la nostra dipartita.

Il Trionfo della Morte di Palazzo Abatellis, Palermo
Metterle anticipatamente in ordine, a venti come a ottant’anni, eliminando quelle che riteniamo inutili (regali indesiderati, vestiti mai indossati, oggetti inutilizzati) e organizzando ciò che desideriamo continui a vivere tra le mani di chi amiamo significa considerare con attenzione il senso del nostro passaggio nel mondo, fare i conti con la paura della morte e ragionare su cosa di tale passaggio vogliamo lasciare ai posteri. La memoria, per esistere e avere senso, ha bisogno anche di oblio. Qualcosa si ricorda perché si dimentica il resto. Oggi, le persone accumulano in formato digitale una quantità inimmaginabile di fotografie, registrazioni audiovisive, testi scritti. Tutto questo materiale è profondamente dispersivo e soffocante. Questa quantità immensa di memorie è l’ennesima occasione per porsi la domanda: “cosa voglio lasciare agli altri dopo la mia morte?”, di riflettere sulla propria mortalità e sull’uso responsabile del web nei suoi confronti.