Lettera pastorale del vescovo Harald Rein per la Quaresima 2023
“Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.” (1 Pietro 3:15)
Cari fratelli e sorelle nella fede,
Libri, saggi, lettere pastorali, tavole rotonde. La secolarizzazione e il futuro delle Chiese sono questioni perenni. La tendenza alla secolarizzazione continua inesorabilmente, così come il calo dei membri delle Chiese e il loro invecchiamento. Molte parrocchie sono colpite dal calo di presenze alle funzioni domenicali e hanno difficoltà a trovare volontari per le posizioni dirigenziali. Diminuiscono i battesimi e i matrimoni ma anche i funerali, così come il numero di studenti di teologia.
Allo stesso tempo, si può osservare un altro fenomeno. Anche se il numero di persone
a-confessionali in Svizzera supererà il 40% nei prossimi anni, la maggior parte delle persone è ancora alla ricerca di significato e di una spiritualità. Ciò significa che è in aumento un cristianesimo senza istituzioni o una religiosità determinata individualmente. La fede cristiana ha bisogno della Chiesa?
Sempre più spesso si tengono convegni confessionali o ecumenici sul tema “La Chiesa può ancora essere salvata?”, anche se in realtà si tratta di un paradosso. Infatti, se gli organizzatori non fossero convinti che la Chiesa sia da salvare, potrebbero usare il loro tempo in modo più sensato.
Le contraddizioni e confusione sono segni di turbamento e cambiamento.
A mio parere, non c’è motivo di farsi prendere dal panico. Affrontiamo la necessaria trasformazione. La lettera pastorale di quest’anno cerca di stimolare e dare forma a questo processo. Vaclav Havel (ex presidente della Repubblica Ceca e scrittore) ha detto: “La speranza non è la convinzione che ciò che accade andrà bene, ma la certezza che abbia un significato, indipendentemente da come andrà a finire“.
Osservazioni di base
Nel mondo ci sono nove miliardi di persone. Di questi, 2,5 miliardi sono di fede cristiana. Il cristianesimo è la religione più grande e più seguita. Al di fuori dell’Europa e del Nord America, le Chiese sono in piena espansione. E la promessa di Gesù “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20) si applica alla Chiesa in quanto tale e non a una particolare confessione cristiana o area culturale. Chiese più piccole della Chiesa cattolica cristiana sono diventate più grandi e Chiese più grandi della Chiesa cattolica cristiana sono sparite. Fa’ parte del compito della creazione di Dio che il mondo cambi e ognuno di noi deve cercare di trarne il meglio.
Ma cosa è cambiato in realtà? Perché e come? Cosa percepiamo e come lo interpretiamo? Per la sociologia della religione nel contesto di lingua tedesca, due teorie giocano un ruolo importante.

La teoria più vecchia si rifa a Max Weber. In breve, dice: storicamente parlando non siamo all’inizio di un processo, ma alla sua fine, iniziata con l’Illuminismo e la Rivoluzione francese. Entrambi sono sinonimo di progresso ovvero di scienze naturali, che hanno “disincantato” il mondo religioso arcaico. Ora stiamo lentamente raggiungendo la fine del disincanto. Le persone non hanno più bisogno della religione o delle Chiese per trovare il proprio significato personale. Con il disincanto, le Chiese hanno perso il loro monopolio. Pertanto, continueranno ad appartenere ad una Chiesa solo quelle persone che vogliono farlo per convinzione interiore e la cui proria personale ricerca di significato trova approdo in quel luogo. Logicamente, ciò si traduce in un processo di contrazione delle preesistenti Chiese nazionali e regionali verso Chiese confessionali più piccole.
Per quanto riguarda la teoria attuale, segnalo il nome di Hans Joas. Non nega i fenomeni di secolarizzazione appena descritti, ma contesta la linea di pensiero secondo cui il progresso tecnico ed economico, unito all’aumento delle conoscenze e a una migliore istruzione, porti inevitabilmente a un indebolimento di ogni religione. Joas vede il problema non nella teoria del disincanto, ma nell’istituzione della Chiesa.
Secondo lui, l’indebolimento delle Chiese nei Paesi di lingua tedesca si basa sul fatto che le Chiese e le generazioni di genitori dediti alla Chiesa non sono più in grado di accompagnare i figli nelle questioni religiose in modo che rimangano fedeli alla loro comunità di fede di origine. Si è verificato un esaurimento della lingua cristiana e della trasmissione dei fondamenti della fede cristiana alla generazione successiva.
In quest’ottica, il futuro di una comunità ecclesiale dipende dal fatto che essa riesca a mostrare alle persone con l’esempio che celebrare e vivere la fede cristiana insieme agli altri è un’alternativa significativa alla scoperta religiosa puramente individuale.
Non si nasce cristiani. Si diventa cristiani quando gli altri ci mostrano quanto sia di beneficio appartenere a una comunità cristiana.

Concretamente
Al 31.12.2022 la Chiesa cattolica cristiana contava circa 12.000 membri, prevalentemente anziani. Il numero dei membri ristagna, poiché le adesioni, accolte con favore, e i battesimi non riescono a compensare i decessi di ogni anno. Anche questo sviluppo è associato a cambiamenti. A differenza del passato, la metà dei nostri membri non vive più nelle due ex roccaforti di Fricktal/Aargau e Niederamt/Solothurn. Mentre le parrocchie urbane crescono in termini di membri, diminuiscono nelle aree rurali.
L’accorpamento di risorse umane e finanziarie che ciò richiede procede solo con difficoltà; in particolare, la distribuzione centrale del lavoro e della remunerazione del clero.
Si tratta di esaminare attentamente e di sapere cosa si vuole e cosa ha senso.
In ogni situazione di cambiamento, si pone la questione di quale sia il vero compito centrale della Chiesa in generale e della nostra denominazione in particolare. O per dirla in un linguaggio secolare: cosa è davvero rilevante per il sistema? Di cosa possiamo fare a meno? Di cosa non possiamo fare a meno?
Immaginate che il 31.12.2023 tutti i cantoni della Svizzera separino Stato e religione e che gli attuali membri delle tre Chiese nazionali il 1.1.2024 debbano registrarsi nuovamente nella loro ex parrocchia in base al diritto di associazione.
Cosa resterebbe? Stimo il 20% per la Chiesa cattolica romana e il 10% per la Chiesa evangelica riformata. Nel nostro caso, presumo che a causa delle dimensioni ridotte e di un legame personale più stretto, potrebbe essere del 30%. Fate i conti da soli!
Che cosa possiamo fare come Chiesa cattolica cristiana per garantire la consapevolezza della rilevanza del cristianesimo nella nostra società svizzera?
Potrei scrivere molto su questo argomento. Tuttavia, mi limiterò agli aspetti più importanti e mi concentrerò sulle conseguenze strutturali nel capitolo seguente:
- avranno un futuro solo quelle parrocchie che, come isole, oasi, fortezze o fari, attirano e ristorano le persone;
- comunità ecclesiali che proclamano che Dio non ci abbandona, che ci ha creati tutti così come siamo, che ci accompagna nella nostra vita e ci attende alla fine della nostra vita terrena. Come si legge nella nostra preghiera eucaristica: “Annunciamo la morte del Signore, celebriamo la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta nella gloria”. Questo è il nostro vero compito, unito alla diaconia e alla cura pastorale. La salvaguardia dell’identità è di grande importanza. Molte persone non sanno più cosa significhi essere cristiani.
- Nel mondo di lingua tedesca tutte le Chiese di maggioranza e Chiese regionali consolidate sono eccessivamente istituzionalizzate e clericalizzate. Meno sarebbe meglio. La parrocchia del futuro sarà sostenuta da molte spalle. La vita ecclesiale comunitaria si svolgerà in aree geografiche più ampie, con un numero minore di comunità e centri.
- La Chiesa fa del bene alle persone: spiritualmente, pastoralmente, liturgicamente e diaconalmente.
- Il nostro compito principale è il “discepolato” nel mondo come testimoni. Dio è, per così dire, l’”evangelizzatore”, l’annunciatore, noi siamo i suoi strumenti per portare la fede cristiana ad altre persone. Dobbiamo testimoniare, non convincere. La crescita avviene da sola quando andiamo in chiesa e invitiamo altri a unirsi a noi.
Il compito della Chiesa è quello di ruggire come un leone contro l’ingiustizia del mondo. Questo può essere fatto in modo diverso a seconda del continente e della cultura.
Conseguenze strutturali

A mio parere, stiamo girando in tondo da anni. Non appena qualcuno sostiene un cambiamento nelle strutture esistenti, qualcun altro interviene e vuole prima di tutto una discussione di fondo sui nostri obiettivi, perché il contenuto e l’aspetto spirituale sono più importanti delle strutture. Poi un altro sollecita come priorità un giro di discussione sullo stato d’animo. E quando entrambi hanno avuto luogo e sono stati spesi soldi per consultazioni di ogni tipo, sono passati altri due anni senza che sia cambiato molto.
Il gioco ricomincia da capo e noi diventiamo sempre più un’organizzazione esausta nonostante i piccoli progressi.
Questo fenomeno non è una questione di cattiva volontà, ma è creare un diversivo, perché la gente fondamentalmente non vuole cambiare. Tutto dovrebbe rimanere com’è, ma ovviamente con più membri.
È quindi giunto il momento di stabilire le priorità e di attuarle.
In base alla mia percezione e alla mia esperienza, delineo ciò che è necessario:
1. la diocesi deve essere al primo posto
2. le parrocchie devono essere parrocchie
3. formazione di regioni con meno parrocchie come soluzione transitoria.
1. La diocesi deve essere al primo posto
Quando è nata la nostra Chiesa, abbiamo deliberatamente creato una diocesi cattolica con un vescovo e introdotto un’autonomia parrocchiale quasi assoluta. All’epoca aveva senso come demarcazione dal centralismo cattolico romano. Oggi abbiamo bisogno di altre strutture per un servizio ottimale del nostro clero e per un’equa distribuzione delle risorse umane e finanziarie. In concreto, ciò significa (come previsto anche nella mozione adottata al Sinodo nazionale 2022) la retribuzione di tutto il clero gestita a livello centrale dall’amministrazione finanziaria della diocesi, mentre la pianificazione e la distribuzione dei lavori sotto il controllo del Sinodo nazionale. Quest’ultimo definisce cosa si intende per parrocchia e in base a quali criteri vengono distribuite le percentuali di lavoro nella diocesi. Il numero esatto di membri, la loro struttura per età, dimensione geografica, eventuali peculiarità locali, ecc. saranno fattori di valutazione. Ciò non limita la responsabilità da parte della relativa parrocchia all’annuncio di impiego e nell’elezione del parroco o della parroca.
Questo avviene anche in tutte le nostre Chiese sorelle vetero-cattoliche e nelle altre due grandi Chiese nazionali svizzere, anche se a livello cantonale. La nostra Chiesa è semplicemente troppo piccola per soluzioni cantonali. La creazione di regioni è quindi una soluzione transitoria adeguata. Un tale accorpamento rafforzerebbe anche la professionalizzazione dei nostri organismi e dei nostri volontari. Molti compiti sono diventati più complessi e impegnativi.
2. Le parrocchie devono essere parrocchie
Avete mai pensato a quali sono i criteri per formare una parrocchia?
Ecco due esempi:
Se i fratelli e le sorelle di fede ortodossi o anglicani in Svizzera desiderano fondare una propria parrocchia nel contesto della migrazione, il vescovo competente impone, ad esempio, le seguenti condizioni:
- Deve esserci un numero comprovato di persone/famiglie di diverse generazioni, in modo che si possa tenere una celebrazione eucaristica ogni domenica e nei giorni festivi.
- Deve essere possibile occupare tutte le funzioni e gli uffici dei laici di cui una parrocchia ha bisogno, in particolare l’amministrazione e il consiglio di chiesa con almeno 5 persone.
- L’educazione religiosa per i bambini e i giovani viene impartita regolarmente.
- Il contributo volontario deve essere sufficiente a pagare uno spazio di culto, una sala riunioni, un incarico pastorale al 100%, altri costi materiali e il contributo alla diocesi.
Nella nostra Chiesa sorella vetero-cattolica di Germania, l’imposta ecclesiale sul reddito va alla diocesi e tutte le altre entrate fiscali della Chiesa vanno alle parrocchie. La diocesi paga per una posizione pastorale al 100% se:
- La parrocchia conta almeno 250 membri.
- Esiste un’amministrazione/consiglio di chiesa con almeno 5 persone.
- Si svolge un insegnamento religioso regolare e
- tutti gli altri costi della vita comunitaria possono essere coperti con risorse proprie.

Ciò è anche in linea con gli studi scientifici, che ipotizzano la necessità di un nucleo di almeno 100 persone attive per una vita comunitaria funzionante, che si irradia verso il mondo esterno.
Purtroppo, negli ultimi decenni le cose non sono andate bene nel nostro Paese. Non appena i soldi sono diminuiti e i fedeli sono diventati meno numerosi, molti luoghi hanno iniziato a ridurre il numero delle funzioni e a diminuire la percentuale di lavoro del clero.
Il denaro viene investito nella manutenzione delle proprietà e in una segreteria che fa funzionare l’intera organizzazione. L’autonomia della parrocchia, la sua stessa esistenza e il mantenimento del luogo di culto sono stati messi al di sopra di tutto.
Oppure due di queste comunità assumono un pastore al 50% ciascuna, ma hanno aspettative e desideri per il 200%. Il teologo Jaroslav Pelikan ha descritto così questo fenomeno: “La tradizione è la fede viva dei morti, alla quale aggiungiamo il nostro capitolo finché abbiamo il dono della vita. Il tradizionalismo è la fede morta dei vivi, che temono che tutto crolli se qualcosa cambia”. Ma la Bibbia parla di una nuova terra e di nuovi cieli con l’avvento del regno di Dio.
Naturalmente, ci sono anche nuovi inizi. Mi riferisco alle associazioni di comunità che sono nate e ad altre cooperazioni. Ma, a mio avviso, molte cose stanno accadendo troppo lentamente e timidamente.
Pertanto, ritengo necessario fondere le piccole parrocchie in una parrocchia più grande che soddisfi i criteri citati. E non si tratta di un cambiamento strutturale per il gusto di farlo, ma perché questo cambiamento strutturale serve a una vita comunitaria migliore e più gioiosa, che si irradia verso l’esterno.
3. Formazione di regioni con meno parrocchie come soluzione transitoria.
Nella vita non esistono solo il bianco e il nero. Molte cose sono già in movimento, soprattutto nelle regioni. Mi riferisco all’unione delle parrocchie della Chiesa cattolica cristiana del Fricktal e alla Chiesa regionale di Basilea Campagna.
Potrei immaginare che la Chiesa regionale di Basilea Campagna intensifichi la sua collaborazione con la parrocchia di Basilea Città o del Fricktal; che le parrocchie di Zurigo, Sciaffusa e San Gallo formino anch’esse un’associazione; come pure le parrocchie di Baden-Brugg-Wettingen, Aarau-Zofingen e Schönenwerd-Niedergösgen; sarebbe inoltre opportuno che le parrocchie delle regioni di Olten, Soletta e Grenchen collaborassero più strettamente.
Nel canton Berna, le quattro parrocchie dovrebbero fondersi in una sola, come a Zurigo; nella Svizzera francese, tutte le parrocchie del COMITE ROMAND potrebbero coordinarsi e condividere ancora di più le loro risorse. Mi rendo conto che qualsiasi forma di centralismo nella nostra Chiesa sembra sospetta e incontra una resistenza emotiva.
Nessun’altra Chiesa in Svizzera è così intrecciata con le strutture politiche come la nostra, a causa dell’intreccio tra le nostre origini ecclesiastiche e il Kulturkampf politico di 150 anni fa. Le nostre strutture ecclesiastiche sono, per così dire, un’immagine speculare di quelle politiche. Ma anche nella sfera politica, le piccole comunità si stanno fondendo insieme per formarne una grande o i cantoni stanno cedendo competenze alla Confederazione perché lo ritengono ragionevole a causa della complessità odierna.
Questi cambiamenti devono nascere dal basso. Pertanto, anticipare una maggiore cooperazione all’interno delle regioni potrebbe contribuire in modo decisivo a spianare la strada alle riforme che il Sinodo nazionale dovrebbe attuare a livello diocesano.
Inoltre, probabilmente è necessaria una soluzione speciale per le aree della diaspora, come, per esempio, in Ticino.
In conclusione
Abbiamo bisogno di un’azione orientata al futuro e non al passato. Questo riuscirà solo se il cambiamento sarà legato a un cambiamento di mentalità e di atteggiamento di fondo nei confronti delle varie questioni. Vorrei illustrarlo ancora una volta con i temi delle “relazioni pubbliche” e delle “nuove leve ecclesiastiche”.

Spesso viene espressa l’opinione che avremmo più membri se facessimo più attività di pubbliche relazioni. Naturalmente, si può sempre migliorare. Ma le esperte e gli esperti del settore sanno che le relazioni pubbliche possono aumentare il profilo di un’organizzazione, ma non possono incrementare i membri se tale organizzazione è al di sotto di una certa dimensione critica. Ricordo, ad esempio, l’Esercito della Salvezza con la sua colletta natalizia, i suoi negozi dell’usato e i suoi rifugi per i senzatetto. È più piccola di noi ma più conosciuta e ha tuttavia problemi simili. Un altro esempio è l’utilizzo dei fondi nel settore dei media. Investiamo soprattutto nella stampa classica per le notizie sulla comunità, invece di spostare le risorse verso i nuovi media elettronici. Potrei immaginare che CHRISTKATHOLISCH, come PRESENCE, appaia di nuovo mensilmente come un’interessante rivista cartacea. Inoltre che ogni due domeniche venga trasmessa una celebrazione comunitaria diversa in livestreaming per tutta la diocesi e per il pubblico. Anche la nostra homepage non è più all’altezza degli standard rispetto alle altre. E tutto questo insieme, a sua volta, potrebbe migliorare la nostra immagine verso il mondo esterno come parte del nostro lavoro di pubbliche relazioni. Ma non porta necessariamente più membri. E se si confronta la situazione odierna con quella di 20 anni fa, si noterà persino che la nostra presenza nei media è migliorata.
Abbiamo troppo poco clero giovane, sia tra le nostre fila che tra i nuovi che entrano. Questo è spiacevole. Anch’io vorrei vedere più studenti di teologia. Forse stiamo vivendo in un’epoca in cui dobbiamo imparare a essere Chiesa con meno personale. Forse dobbiamo dire addio all’immagine accademica del prete – a parte la professione a tempo pieno di parroco o parroca al 100% – e creare nuovi corsi di formazione per preti, diaconi e diacone che sostengano il ministero parrocchiale part-time o su base volontaria.
Inoltre, dovremmo offrire più formazione ai laici che sono a part-time o volontari. A medio termine abbiamo abbastanza personale per effettuare la transizione e avviare qualcosa di nuovo. Ma dobbiamo iniziare subito.
Abbiamo la missione di celebrare e proclamare Cristo risorto. Abbiamo la missione di conquistare le persone come suoi discepoli e discepole per il suo Vangelo e di sostenere i suoi valori nel mondo. Questo è qualcosa di diverso dall’amministrare i resti di Chiese maggioritarie e nazionali.
+ Harald Rein