Non nominare il nome di Dio invano

Non so se sapete ma la Bibbia non parla di Dio, nel senso che non descrive come è e non c’è nemmeno la parola “Dio”; non c’è nemmeno la parola “fede”, fiducia, sì, ma non fede. Quindi i testi della Bibbia, così importanti, non servono per farci parlare di Dio e non riguardano solo chi ha fede ma parlano dell’essere umano. Ma se le religioni non hanno a cuore l’essere umano, perché l’essere umano dovrebbe avere a cuore le religioni?

Penso che la frase “non nominare il nome di Dio invano” fosse proprio rivolta a tutti quei devoti e religiosi che parlano di un Dio che non conoscono e che forse non vogliono conoscere e in questo modo lo banalizzano, lo rendono poco credibile e lo rendono un idolo. Spesso se ci pensate parlano di Dio per impedire la libertà degli altri, per imporre allo Stato la propria visione del mondo, una sorta di “Dio è con noi/Gott mit uns” continua, che autorizza ogni battaglia contro gli altri. A fine gennaio si celebra sempre la Giornata della memoria, ricordo dei campi di sterminio, che ormai dovrebbe venir chiamata la Giornata della memoria corta, perché tuttora esistono in molte parti del mondo e tuttora il mondo resta diviso tra chi si sente forte del sostegno divino e tutti gli altri di serie B.

Il bello della nostra Chiesa per me è sempre stato l’uso della ragione e della propria coscienza. Coltivare una vita spirituale non significa delegare le responsabilità, anzi, significa assumersele in prima persona, farsi carico della situazione, della società, dell’altro, degli squilibri sociali ed economici, impegnarsi in questo mondo. E bisognerebbe studiare di più e parlar meno di Dio, ormai inflazionato e ridotto da molti discorsi ad un idolo, onnipotente, onnipresente, giustiziere e magico.

Colui che era stato autorizzato a parlare per Dio ad Israele era Mosé ed era balbuziente.

Perché Dio, così raccontano, non sta nelle tante parole che si dicono ma in quello spazio di silenzio che si crea e che spiazza proprio nel momento in cui si balbetta.