Le parole (e i gesti) sono importanti – Segno della croce

Il gesto sostiene la preghiera. Per essere pienamente cristiana, la preghiera deve essere pienamente umana e quindi coinvolgere il corpo.

Un po’ di storia
Il segno della croce è attestato sin dal II secolo d.C.; in origine si tracciava una piccola croce sulla fronte ed era un segno che richiamava la liturgia del batte-simo, poiché quel segno era il sigillo compiuto nel sacramento. Il segno della croce più ampio nasce probabilmente verso il 700 d.C. in ambito orientale. Poiché non era accettato da tutti che Gesù Cristo fosse Dio ed essere umano insieme, di natura umana e divina, i fedeli in oriente cominciarono a tracciare il segno della croce più ampio nel nome della Trinità con due dita (indice e medio) ad indicare le due nature di Cristo. Questo gesto poi prese piede con l’uso delle tre dita (pollice, indice e medio unite insieme) e le altre due dita ripiega-te nella mano. In questo modo si afferma la propria fede nella Trinità e nelle due nature di Cristo. L’uso del segno della croce si diffonde poi in occidente.

Perché la Riforma non lo usa?
Ma questo segno non distingue tutti i cristiani. La Riforma protestante non ha accolto questo segno non trovando riscontri biblici per esso. Nel libro del profeta Ezechiele e in passi analoghi dell’Apocalisse il sigillo di Dio si contrappone a coloro che scelgono il marchio della Bestia. La lettera “tau”, corrispondente alla “T” del nostro alfabeto, è però l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico e rappresenta (come la “omega” greca) Dio nella sua perfezione, causa prima e fine ultimo dell’intera creazione (secondo la simbologia dell’Alfa e Omega). In questi passi biblici i fedeli a Dio, coloro cioè che non si arrendono al peccato, vengono segnati con un segno speciale, esterno, che aveva forma simile alla nostra croce, per essere subito riconosciuti da Dio. Ma è Dio che segna, non i fedeli che si segnano.
Questo gesto poi è stato usato spesso come protezione, quasi a formare uno scudo dal male e così facendo è diventato un gesto scaramantico (vedi i calciatori che toccano il terreno e si segnano) anche per questo fu evitato dalla Riforma.

Differenze tra Oriente e Occidente
Ma oltre che gesto scaramantico è sempre stato gesto di benedizione, croce sulla fronte data dall’abate ai monaci o dall’abbadessa alle monache ma anche benedizione impartita dal clero, con il pollice della mano benedicente che incrocia l’anulare, l’indice è alzato verso l’alto, il medio e il mignolo sono lievemente piegati. Così la mano del prete forma le lette-re iniziali e finali delle parole “Gesù Cristo” in greco – “IC” e “XC” – sempre ricordando l’associazione delle tre Persone della Trinità e le due nature di Cristo. La mano che benedice traccia così il segno della croce verso il fedele dall’alto in basso, poi da sinistra a destra. Questo senso, che è sempre quello delle benedizioni impartite dal clero, in Oriente come in Occidente, è verosimilmente quello in uso fin dai primi tempi dell’era cristiana. I fedeli in orien-te lo riproducono come uno specchio: in questo modo si riconosce implicitamente che nessuno potrebbe veramente benedire se stesso e che, anche in assenza di un membro del clero, ogni benedizione viene ricevuta da una potenza superiore, quella di Dio. La storia del segno della croce è quindi legata a quella della benedizione. La pratica occidentale medievale è quella di benedire con la mano aperta, e così i fedeli in occidente si segnano con la mano aperta. Ma perché la benedizione è stata fin dal principio data dall’alto in basso e da sinistra a destra? Forse semplicemente perché questo è il senso naturale della lettura e della scrittura nelle lingue latina e greca. Benedicendo, il clero “scrive” la croce su coloro che benedice.

“In nome del padre: inaugura il segno della croce. In nome della madre s’inaugura la vita” (Erri de Luca)
Ma oggi la domanda che mi è stata posta è: perché non dire “nel nome della Madre, della figlia ecc. dal momento che il Divino non ha sesso?

La prima cosa da notare è che Gesù, come riportato nei vangeli, non ha mai parlato di Dio ma di Padre. E dobbiamo ammettere che si muoveva in un sistema patriarcale: se avesse detto “Madre” molto probabilmente non sarebbe proprio mai stato preso in considerazione. Eppure Dio è anche donna, è donna nei vangeli, donna nella predicazione, è una donna che cerca la moneta, è una donna che prepara il pane mettendo il lievito in una massa considerevole di farina, quasi 25 chili. Questo è il lavoro misterioso nascosto del Regno. E una donna che fa il pane è immagine di Dio che infonde vita nuova alle cose.
Quindi anche se Gesù ha parlato del Padre, la domanda postami ha senso, ha senso soprattutto quando si cerca di sradicare questa ingiustizia di genere che dura da millenni.
Nel fare il segno della croce usiamo metafore. Padre è la metafora del Divino vitale e amorevole, ma potremmo dire Madre come potremmo dire Unica realtà oppure contenitore e contenuto di ogni cosa. Al posto di Figlio potremmo dire Sophia, la saggezza, la rivelazione del divino, ciò che possiamo percepire del divino, la parola rivelata nella vita di Gesù, Sophia, saggezza del mondo e che sempre continuamente ci viene rivelata in ogni cosa, persona e momento. Lo Spirito di Dio è femminile in ebraico e neutro in greco quindi non ha senso intenderlo al maschile ma così purtroppo è la no-stra lingua italiana.
Quindi segnarsi “Nel nome della Madre”?
Se ce la fate ancora a seguirmi, rispondo con le parole di Michela Murgia. “Padre e madre sono categorie del binarismo che appartengono a una visione tradizionale patriarca-le: dunque quei ruoli non possono essere esaustivi dell’identità delle persone. Figuriamoci di quella di Dio! Quindi a me di far rientrare Dio nella visione maschile del padre o femminile della madre, non solo non importa ma lo trovo pericoloso. Non a caso il modello è stato la famigliola di Nazareth. La famiglia di Nazareth non è un contenuto di fede, la Trinità è un contenuto di fede, cioè l’idea di un Dio che è uno e trino, ha tre essenze paritarie e differenziate. Ma non siamo riusciti, dopo 2000 anni, a dire in cosa differenziano e in cosa sono similari, se non conce-pendoli come un flusso d’amore. L’idea della Trinità secondo me è tremendamente queer* perché non ha i limiti, non ha i muri, ti dice che dentro quel flusso di amore tutte le forme, le identità, sono se stesse. Il ruolo del padre e della madre nella Trinità non c’è, non serve”. (Michela Murgia, intervista ad Espresso 15.11.2022 ).
In realtà nella comprensione della Trinità c’è il concetto di origine, indicato con il termine Padre, ma il tentativo di superare categorie troppo umane è, a mio parere, la direzione da perseguire.

*Queer: Il termine “queer” è scelto da chi rifiuta di inse-rirsi in categorie prestabilite. Si tratta di un termine om-brello che include una vasta gamma di identità sessuali e di genere. Non indica però necessariamente un orienta-mento sessuale o un’identità di genere distinta, ma piutto-sto un rifiuto delle etichette tradizionali. Essere queer non è tanto una definizione della propria sessualità o identità di genere quanto un’affermazione politica contro gli ste-reotipi e le etichettature.