Le parole sono importanti (2) – Kyrie

Nella Messa usiamo tante lingue. C’è l’ebraico: Alleluia (lodate il Signore), Amen (è vero, è così, così sia) e Osanna (dona la salvezza). C’è il latino nei canti come Gloria in excelsis Deo.
Kyrie eleison è una formula greca che traduciamo come Signore pietà. Per la sensi-bilità attuale ripetere Signore pietà varie volte all’inizio di una liturgia che dovrebbe essere di gioia e anticipazione dei cieli può risultare strano a un orecchio moderno. Vediamo allora di capire meglio.
Kyrie eleison ricorre varie volte nelle Scritture e compare per la prima volta nella liturgia delle Chiese di Antiochia e Gerusalemme, dopo la metà del IV secolo. In realtà l’origine di questa acclamazione è addirittura precristiana e pagana, usata nei confronti di divinità pagane o di imperatori. Arriano (95-180 d.C.) nel suo Enchiridion dice: “Invocando l’aruspice come Dio, diciamo: Kyrie eleison, concedimi di venirne fuori”. Come si vede, è un appello alla divinità per tirarsi fuori da qualche guaio o rimanerne preservati. Non vi è alcun riferimento specifico ad una richiesta di perdono.
In ambito biblico si tratta di un grido che fa appello alla misericordia del Signore ma non è un gesto penitenziale, piuttosto di confessione di fede e di supplica. Nei vangeli lo troviamo pronunciato dai ciechi (Mt 9,27; 20,30) o dalla donna pagana al suo primo incontro con Cristo (Mt 15,22) o dal padre del ragazzo epilettico (Mt 17,15) e dal lebbroso (Lc 17,13): tutte persone malate o genitori di figli malati che, con fede, si sono rivolti a Gesù perché li accogliesse in quello stesso amore materno che il Signore aveva dimostrato in passato nei con-fronti del suo popolo. Alla loro fede Gesù ha risposto resti-tuendo la dignità e la gioia della vita risanata.
Il Kyrie è una delle poche acclamazioni che è rimasta in greco nelle liturgie delle diverse lingue. Mentre a Oriente usavano ripetere a lungo Kyrie eleison fino anche a 40 volte di seguito, in Occidente già a metà del VI sec si era intro-dotto anche Christe eleison, e nel medioevo si andava verso una comprensione trinitaria (tre), Kyrie, Christe, Kyrie, anche se non si tratta di una preghiera trinitaria ma cristologi-ca. Tutte le tre invocazioni sono rivolte a Cristo: Kyrios (Signore) è, infatti, il titolo che i Vangeli riservano al Risorto, a Gesù che con la risurrezione si è finalmente manifesta-to come signore della vita e della morte.
E non è nel momento penitenziale (prete e assemblea insieme in un’unica direzione) ma è un’invocazione che segue.
In Oriente vi è inoltre l’antichissima tradizione della preghiera continua, la preghiera del cuore proprio con queste parole in greco: “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me”. Signore Gesù Cristo, o Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio si dice nella inspirazione, abbi pietà di me o qualche volta, abbi pietà di me peccatore, nella espirazione. E ciò si fa con abbandono, per amore. L’invocazione si identifica con i battiti del cuore; è il ritmo stesso della vita, la respirazio-ne, il pulsare del cuore, a pregare in noi, o a riconoscersi preghiera. Nella tradizione benedettina antica, si usava alla stessa maniera la parola di un salmo: «O Dio, vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto».
Ma qual è il vero significato di questa invocazione?
Il libro Orthodox Worship descrive così il significato di Kyrie eleison in greco: “La parola greca eleos ha la stessa radice dell’antica parola greca per indicare l’olio d’oliva, che veniva ampiamente usato per alleviare i lividi e le ferite minori. L’olio veniva versato sulla ferita e massaggiato piano, confortando e ripristi-nando la parte ferita. Le parole greche sono allora: Signore, alleviami, confortami, mostrami il tuo amore costante’ (eleos traduce l’ebraico hesed, amore). È in questo senso che preghiamo ‘Signore, pietà’ con grande frequenza nella liturgia divina (trad. dall’inglese)”.
L’invocazione però non ci è giunta nella sua lingua originale (aramaico). E piuttosto che la parola derivata (eleos) guardiamo il verbo. Nella Bibbia greca il verbo eleeō tradu-ce spesso un termine ebraico con cui nell’Antico Testamento veniva descritta la componente materna dell’amore di Dio. Infatti il più delle volte traduce l’ebraico (ed aramaico) rhm, la radice di utero, cioè provare misericordia, sentire pietà, provare tenerezza, commuoversi; oppure traduce tre verbi ebraici che indicano fare grazia, provare compassione e consolare. Purtroppo nei Vangeli è stato tradotto con il verbo latino misereri. In questo modo non è scomparso soltanto il riferimento all’amore materno di Dio che l’invo-cazione voleva suscitare, ma è stato spostato l’accento sulla colpevolezza dell’essere umano. Proprio guardando alle lingue originarie la studiosa Emmanuela Zurli suggerisce di tradurre: “Signore, amami teneramente”.
Perché allora non tradurre il Kyrie in lingua corrente con il suo significato completo? Perché nelle nostre lingue manca un termine unico che renda sia la componente materna sia il profondo coinvolgimento contenuti nell’e-spressione originaria. La soluzione allora secondo me è lasciare l’invocazione, consapevoli del suo significato più autentico, nella lingua nella quale la tradizione cristiana l’ha tramandata per quasi duemila anni, il greco.